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Antonio Del Guercio
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“Paolo Angelani nell’arte a Roma tra il 1950 e il 1971”
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... E quella fu la fase durante la quale Paolo Angelani ebbe a compiere la propria ricerca, con essa
egli si identificò, e in essa trova oggi la sua giustificazione storico-critica il suo lavoro, e
il moto irrequieto di un viaggio che fu tragicamente interrotto prima che egli potesse, come i suoi
coetanei, entrare appieno negli anni Settanta e nei decenni seguenti. Un moto che era tra tonalismo
materiato, addensati paesaggi, corpi teneramente evocati, nature morte animate, e - nelle opere
grafiche - segno crudo ed essenziale, mantiene sempre il suggello di quello struggente lirismo che
a me sembra il dato essenziale del mondo poetico di questo pittore.
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Antonello Trombadori
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... Angelani lavora in Trastevere. Un vicolo antico, diruto, dove ancora fra un selcio e l’altro può nascere
un ciuffo d’erba, dove il tanfo delle stalle si confonde con quello della lisciva e, se varchi il portone
che mette nel cortile circondato da ballatoi, verande sgangherate e lucernari dalle armature arrugginite,
ti pare veramente di precipitare agli inizi del secolo o più giù. Ma nulla di tutto ciò trapela nella
pittura di Angelani. Nessuna inflessione romanesca, nessun vezzo accademico o passatista, nessuna uggiosa
impronta di colore locale nelle sue tele. Su quel cortile del vicolo di Santa Maria in Cappella si affacciano
gli studi degli scultori Tagliolini e Brook, che ne hanno visto di monde, e s`apre la porta smerigliata di un
ambiente d’arte intelligentemente ideato dal pittore Marcello Avenali che nello stesso sito lavora ai suoi
vetri policromi. Aria viva, dunque, e mossa, anche se diligentemente protetta dalle infezioni più diffuse
della moda, e quella che si riflette nella tormentata ricerca di Angelani. Un pittore chiuso in se stesso,
schivo di modi, quasi timoroso di rivelare a fondo i propri problemi, ma capace di coltivare, entro quella
chiusura e quei timori, un amore autentico disinteressato per la pittura al di la di ogni pregiudizio
formalistico, alla ininterrotta conquista d’un equilibrio non fittizio fra il più umile rispetto della realtà
e il piacere della elaborazione formale più disponibile ai moti dell’invenzione . Attardarsi sulla pittura
come meditato e prudente riflesso d`una immagine oggettiva a lungo studiata e amorosamente interrogata con
l`occhio (un angolo di paesaggio urbano, una spianata di tegole vecchie, battute dal tempo fino a un totale,
quasi amorfo regresso alla materia primitiva, un nudo femminile ricostruito alla stregua del più emotivo
ricordo personale), e, all’improvviso, una mareggiata della tavolozza, un segmentarsi della pennellata,
un colare a picco nel groviglio quasi informale, per comunicare non più il dato d’una esperienza diretta
ma nientemeno che il concitato referto d’un sogno o meglio d’un mito rivissuto attraverso la pagina d’un
libro o la prospettiva d’una tela antica (il naufragio tra spume ringhiose e avvolgenti, quasi un’eco
dell’energia e della disperazione dei grandi romantici europei stemperata nella solitudine biaccosa e
crepuscolare d’un pomeriggio romano alle foci tiberine di Fiumicino.
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Giorgio Segato |
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... Nature morte, paesaggi, ritratti, i nudi, le splendide ‘Tempeste’, le emozioni cromatiche vissute e
registrate in Iran, tutta l’opera pittorica risente in questo decennio di una vibrazione interna,
di un dettato intimo che non e mai urgenza incontenibile, ma modulazione del sentimento esistenziale e
autentica partecipazione. Nelle opere ultime, immediatamente precedenti il tragico incidente stradale del
1971, la pasta cromatica si ricompone in piu dense campiture, come se il sentimento della vita avesse
raggiunto ormai una piu chiara convinzione, uno spessore stabile, una profondita quasi insondabile di materia,
di esperienza, di percezione, cosi che la forma, soprattutto nel paesaggio, nasce dalla stessa materia cromatica
liberata dall’impianto grafico, ormai compiuta manifestazione del dettato dell’emozione interna. Non
c’e dubbio che per Paolo Angelani, pittore autentico, originale e ricco di ispirazione coltivata nell’amore
per il reale e per l’uomo, la morte precoce abbia interrotto un’attivita creativa di grande valore e raffinatezza,
ma gli esiti raggiunti dall’artista sono comunque tali da meritargli un posto davvero onorevole nella storia dell’arte italiana del secondo dopoguerra.
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Mario Lunetta
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“Paolo Angelani: un pittore interrogato dal mondo”
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... Il ritorno a Roma vede una ripresa dei toni caldi e sensuali da Scuola Romana, specialmente nelle vedute
dallo studio. La tavolozza sembra obbedire senza sforzo alle sollecitazioni della luce, l’occhio e franco
e sicuro, l’atmosfera che circola in queste tele spesso di grande presenza lirica e assai più vibrante di
un tempo. Il rapporto di Paolo con le realtà “immobili" della città e della campagna si è chiarito, secondo
una sorta di liquido dinamismo che libera una tensione reciproca. I muri, i palazzi, la vegetazione parlano
con una loro voce tesa, salda e cordiale. Sono loro, alla fine, i veri personaggi, le vere “figure" di questa
pittura che non cessa di chiarirsi le proprie ragioni anche nei confronti del “sociale” e del “politico",
come dimostra anche l”intervento del pittore sulla situazione degli artisti, tenuto nell’agosto del 1969 alla
Federazione del PCI. Tra il ’7O e il ’71 si assiste a una serie di sollecitazioni che la tematica politica
(dalla leggenda del “Che” alla guerra del Vietnam) esercita sull’artista; ma i suoi momenti più forti la
maturità angelaniana li trova nello scandaglio dell’avventura autobiografica. Di quest’epoca estrema della
sua esistenza e del suo lavoro, come percorsa da un nuovo calore e fervore creativo, restano alcuni paesaggi
di grande intensità (la serie dei Paesaggi su! Tevere in cui la struttura è totalmente depurata da ogni
supporto naturalistico, e tutto si gioca sull’energia del rapporto luce—colore); le numerose nature morte
con oggetti di lavoro nella penombra inquieta dello studio; e soprattutto, mi pare, la serie delle vedute
dalla finestra delle studio di Via Vittoria , nelle quali la memoria della Scuola Romana risulta totalmente
consumata in termini di spessore e densità materica, nonché di struggente ma attiva malinconia contemporanea.
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Vito Apuleo
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... Ecco allora le masse verdi degli alberi che il vento piega e sullo sfondo il biancore della
città che sale a sconvolgere quello che era l’antico ordine. Quell’ordine che in passato significava
il suadente scivolare della città verso la periferia non ancora incattivita dal consumismo, e che
in quell’inizio degli anni Settanta significava invece l’aggressione della periferia sulla città,
con il suo carico di delusioni, di violenze, con i suoi irreparabili guasti ecologici. Le linee
verticali degli alberi che si toccano o si distaccano sono poste al servizio dello strato pigmentale
del quadro; le masse giocano un ruolo di movimento sfrangiandosi; il rumore del silenzio intensifica
il vibrare di quelle foglie, il loro disperato dinamismo interiore. Il che si proietta fino alla
visione dell’albero spezzato che sembra voler assumere il vigore di un accento psicologico attraverso
la drammatizzazione delle vento e anche quello del presagio della fine.
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Francesco Lo Perfido
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“La resurrezione di Paolo Angelani”
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... Cosa vive di quel mondo? Non poco: il Tevere amato, percorso e ripercorso, nella mirabile energia -
son sue parole - che “trascina porzioni di tempo imbevute di sabbia”. Sopravvive l’amore nei ritratti
che una poesia di Paolo paragona all’acqua che vince la roccia, Resta la pittura che esplora l’uomo e
la natura, la coscienza delle terribili difficoltà, il desiderio di equilibrio.
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Caterina Virdis Limentani |
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“1950-2000 Arte a Padova”
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... Nel maggio del 1967 si conclude a Padova il concorso nazionale per l’assegnazione dell’incarico di un
grande affresco per l’aula magna dell’Istituto Bernardi. A sorpresa, il vincitore è Paolo Angelani, un
pittore romano di formazione neorealista, che aveva maturato una sua esperienza di decorazione per
edifici pubblici. Le ragioni di questa scelta, data la configurazione politica della Giunta, non vanno
certamente rinvenute nel riconoscimento dell’impegno ideologico dell’autore (una delle sue caratteristiche
salienti) ma piuttosto nell’individuazione di una proposta che, a quella data, diceva bene il clima
culturale della città, si inseriva agevolmente, pertanto, nello snodo irrisolto fra figurazione e astrazione
entro il quale si dibatteva la maggior parte dei protagonisti della scena pittorica del tempo.
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Mariano Apa |
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“Paolo Angelani e Tarcisio bedini: un sodalizio nell’arte e nella vita”
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... Passano in rassegna paesaggi e ritratti, nature morte e scene di vita quotidiana. I due artisti colgono non
il realismo del reale ma il reale della vita vissuta. Introspezione psicologica dei ritratti, accorata
partecipazione ai luoghi della natura e alla domesticità dei quartieri vissuti in una urbanità ancora tutta
a misura di uomo: i due artisti sanno costruire una campionatura pregevole e assai preziosa di schegge di
una vita che essengo realmente vissuta nella loro persona e attraverso le opere degli anni che si susseguono;
si configura come «segno di testimonianza» di un profondo radicamento e di amore di partecipazione alla coralità,
ad una epica che si può definire «domestica», per una società e una storia colta nel riferimento intimo della
figura e dell’icona della persona umana, unico e vero referente per qual si voglia comportamento. E ciò per
poter giungere al riferimento alto, alla condizione di una spirituale verticalità che esprime nella natura e
nella storia la nostra giustificazione e Salvezza.
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Giorgio Di Genova
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“Storia dell'arte italiana del Novecento per generazioni”
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... Paolo Angelani, divenuto nel ’61 Sindaco della natia Monterotondo, potè pubblicare suoi disegni
nell’organo del P.C.I. per l’appoggio di Trombadori. Angelani, proprio per i suoi impegni politici
negli anni Sessanta, nella sua breve esistenza (morì tragicamente nel ’71) non riuscì a portare a
piena maturazione le sue doti di pittore che dopo prove post-cubiste risoltesi, come per tanti altri,
in figurazione neorealista, nel corso degli anni Sessanta lo videro passare da riflessioni su Cèzanne
ed anche su Rembrandt (Bue squartato, 1960), a costruttive scansioni post-cubiste (Figura e lume, 1961)
a riconversioni sul tonalismo Scuola Romana (Ponte Palatino, 1964), subito ricomplicate per le suggestioni
degli espressionisti tedeschi (La tempesta, 1964), a tentativi di declinazione di elementi figurativi e
astratti, forse per scheggiamenti da Brunori (Studio in Trastevere, 1966), che avevano un precedente nel
più impegnativo murale eseguito due anni prima nella Scuola elementare di Rignano Flaminio, dove sono
invece riscontrabili echi da Avenali ed una certa propensione al decorativo (40). Sia questo aspetto
che quello della reinterpretazione post-cubista della realtà, nell’ambito della quale ha dato prove
piuttosto significative, tipo Donna allo specchio del ’66, gli serviranno per una sintesi delle due
polarità, allorché, tornato da un viaggio in Oriente, nel ’69 realizzerà la serie Ricordi persiani,
il cui diapason va individuato in Venditrice di verdure in Persia. Infatti nelle opere di questa serie
l’esperienza post-cubista si risolve in una scansione a zone del colore. E’ proprio dall’interno di
questa soluzione scaturisce una temperie pittorica sottilmente decorativa, soprattutto nelle battute
dedicate al Mercato persiano. A differenza di altri pittori di sinistra, Angelani sul finire degli
anni Sessanta, si poneva nella prospettiva di una ricerca pittorica sganciata dall’ideologia.
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Carla Chiara Frigo
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“Dipinti dell'Ottocento del Novecento dei Musei Civici di Padova”
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... Il dipinto Natura morta fu eseguito nel 1971, anno della morte dell’artista, e giunse al museo con
una donazione dei familiari. In quest’opera trascrive un senso di abbandono emergente dagli oggetti
che abitano nella penombra del suo studio di pittore. Il foglio accartocciato sopra un oggetto
squadrato e voluminoso (una scatola di latta), viene trattato con grande sensibilità per le
sovrapposizioni e le trasparenze, mentre a destra dell’immagine i colori si fanno più intensi
e sempre più cupi.
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Enrico Gallian
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“Le dure scelte di Angelani”
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... Paolo Angelani è uno degli “accantonati” se non addirittura “rimossi” a tutt’oggi; quegli artisti
profondamente in disparte che nel secondo dopoguerra hanno detto la loro in arte, ma in maniera non
chiassosa o barricadera, e che non fecero mai parte di quella schiera di artisti in cerca di allori
o più precisamente di mercanti d’oro. Essere dalla parte, espressionisticamente parlando, di Novecento,
“picassiani – gullusiani” Fronte delle Arti, oppure geometrico – informale, “costruttivista” Angelani
scelse il racconto espressionistico della pittura. Profondamente pittore riuscì a trovare la misura
italiana tra Viveri, Sughi, Cantatore e Avenali. Non per moda, ma per onesta presa di posizione circa
il “fare” la pittura. Il racconto della pittura di Angelani ha descritto paesaggi, ritratti, nudi,
interni e nature morte, nella consapevolezza che bisognasse dare un fermo, una volta per tutte, al
“bellino” “carino” che potevano nuocere all’intera disperata ricerca artistica. Ricerca che è durata
fino alla sua morte avvenuta improvvisamente nel 1971. Le mani dell’Autoritratto nello studio in
Trastevere diventano più gesti, quasi che sfiorino l’idea pittorica della velocità in secondo e
terzo piano, al di là del piano.
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Dario Micacchi
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... Sono vent’anni di lavoro spezzato proprio quando Angelani, dope diverse esperienze e
avventure pittoriche, aveva trovato, in alcuni paesaggi di un gran verde e in alcune nature
morte di barattoli di colori, quella regola che corregge l’emozione e lascia filtrare la poesia
del mondo ..... Angelani ritrova, credo più concretamente la via della pittura della realtà ma
con un senso più cosmico, più generale, più tipico. Ecco i dipinti preziosi, fino a quel quadro
verde smeraldino della valle del Tevere che e il suo testamento e il suo canto dolce e sommesso
alla terra italiana.
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Glauco Pellegrini
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“Il viaggio interrotto di Paolo Angelani"
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... Ripenso a tutto questo, davanti all’ultimo quadro di Paolo Angelani dipinto nei pressi del Tevere,
dove si agita, appena, un albero sradicato. Pare di sentire lo schianto e l’urlo della pianta
colpita a morte, uccisa, e ora la leggenda veneziana vorrebbe che Paolo se ne tornasse, di tanto
in tanto, a riguardarlo questo quadro interrotto, incompiuto, come Van Gogh al campo di spighe
d’oro coi lugubri corvi in volo, e l’anonimo vedutista al palazzo gotico, tela finita chissà dove
se mai sia esistita. So bene perché mi trovo, senza imbarazzo alcuno, a spendere il nome di Van
Gogh, e perché anche Paolo Angelani è morto di luglio. Tra lo sparo e la fine, Van Gogh rimane in
vita due giorni; Paolo, quattro, dallo scontro sulla Flaminia, quando la sua giovane pianta e
stata spezzata, all’inizio del silenzio assoluto. Il 29 luglio, Van Gogh, il 24, il giovane pittore
Paolo Angelani. Niente paralleli, nulla di tutto questo, resta solo da osservare che, come Vincent
ha a lungo mantenuto un rapporto epistolare, e quasi lanciato un ponte tra sé e il fratello Theo,
altrettanto Angelani mai ha smesso di corrispondere col fratello Enrico. “Caro Theo...", “Caro Enrico...".
Da molto tempo non credo più che i pittori tornino al loro quadro ultimo e incompiuto, eppure so
come in ognuno di questi estremi orizzonti, di cosi tanti e vari modi di intendere a fare pittura,
in una scala infinita di risultati, di vittorie e di sconfitte, resti e pulsi la vitalità creativa
d’ogni singolo artista, con la tensione, la consapevolezza di non essere stato cancellato del tutto.
Anzi, di continuare a vivere.
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Erasmo Valente
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“Sonetto nel verde in memoria di Paolo Angelani”
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... Il verde che cresce nell’opera di Paolo è una conquista, via via approfondita, via via diversa
dal verde che caratterizzava gli splendidi paesaggi marchigiani, ad esempio, aperti ad un
“infinito” leopardiano. Il verde diventa una materia vivente, un elemento nuovo e prezioso,
cui la fantasia si abbandona con un’ebbrezza particolare. E non è il verde che distrae dalla
realtà o dal resto di una gamma cromatica; è il verde che da il senso anche drammatico della vita,
il verde dell’albero abbattuto, il verde nel quale si scatenano nuove tempeste e nel quale possono
acquietarsi i turbamenti e i tormenti della gente.
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Silvana Weiler
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... La sua espressione, che si diparte da uno schietto figurativismo, brucia rapidamente le tappe,
per accogliere l’insegnamento cubista e insieme la duttilità sensibile ed umanissima della
lezione espressionista. Ne sgorga naturalmente e consequenzialmente un linguaggio astratto di
rigorose, mobili scansioni, che tendono a rivelare frementi, spesso impalpabili profondità spaziali,
dove la luce si impigra in rifrazioni morbide. I suoi colori solari conoscono sottigliezze rare e
delicatissime, mentre la struttura compositiva non dimentica mai la tensione di talune manifestazioni
astratte, forse non tanto cubiste quanto piuttosto vicine al concetto dinamico del Futurismo.
Quest’ultima sua evoluzione verso un linguaggio, che appunto l’ultimo periodo critico universalmente
va rivalutando e mettendo in evidenza, indica l’acuta prontezza attuale di quest’artista, raramente
dotato d’incisiva suggestività quale decoratore di ampie superfici pittoriche.
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Berenice
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... All’inaugurazione della mostra personale dei pittori Paolo Angelani e Tarciso Bedini alla “Galleria
del Pincio” abbiamo visto Guzzi, Oppo, Biancale, Micacchi, Federico Fellini, il conte Vaselli, il
maestro Pradella, De Falco e signora, Corradso Alba, la baronessa Segre, Beppe Guzzi, R.M. De Angelis,
Anna Salvatore, Domenico Purificato, Giuliana Bergami, Laura Bellini, Padella e signora, Marcucci, Aldo
Capacci, Petrillo, Astrologo, Rambaldi, Strakota e numerosissimi pittori stranieri.
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Virgilio Guzzi
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Angelani e Bedini al Pincio
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... Alberto Ziveri e Cipriano Efisio Oppo presentano questi due giovani alla Galleria del Pincio.
Il tono è quello di chi segnala l’opera di pittori alle prime armi ma non sprovveduti: validi soprattutto
perché innamorati del cosiddetto “vero” e assolutamente indifferenti alle seduzioni del gusto.
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Alberto Sughi
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... Questa mostra mi ha molto appassionato, mi ero gia appassionato moltissimo prima, nel leggere e nel vedere
il libro di Glauco Pellegrini, un maestro nel costruire documenti che ridanno spessore di presenza umana
mettendo insieme scritti, andando a frugare nei cassetti, cercando di guardare bene i quadri. Ha fatto un
libro che, quando l’ho letto, ho detto: come mai io non conoscevo questo pittore? Vedendo i lavori di
Angelani si capisce quale rovello e, quale difficoltà è diventare pittori. C’è un quadro del Gianicolo
che ho visto di là, che ho ancora davanti agli occhi. Un quadro di poesia, di bellezza, di un’intensità,
di una capacita di cogliere il sentimento della luce, dello spessore delle cose, quindi d’un artista autentico, da subito.
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Domenico Purificato
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... Ritrovo ancora nei paesaggi il tessuto denso, succoso, e una tecnica cosciente, una impaginazione tutta
regolata, ordinata: in quest’ordine, per esempio, un fiume di lava verde fa da solida base a un’architettura
di ponti e palazzi che vanno alleggerendosi verso il cielo. Oggi il colore di Angelani, pur accordandosi su
toni fondi, rivela qua e là, tra gli accordi dei bleu non aggressivi, l’acuto di un’ocra, di un cadmio, di un arancione.
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Alberto Ziveri
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... Dalla realtà figurativa c’e ancora tanto da sperare, specie quando si viene a contatto con giovani artisti
che, come l’Angelani, non si vergognano di venire dal paese con la sola cassetta piena di colori aspri e
terrosi, ma con una sincera onesta intesa con la natura, me si sentono avviliti da certi complessi per aver
studiato all’Accademia il nudo, lo scheletro, i muscoli, gli scorci e il ritratto. Hanno capito che per
dipingere un quadro non astrattista bisogna studiare a fondo la natura. I luoghi intorno al suo paese li va
a scoprire in qualunque ora del giorno; li rincorre nelle salite, nelle discese e sulle alture pur di poterli
infine dipingere.
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